«Collezionare fa parte del mio DNA. – raccontava in un’intervista di qualche anno fa – Ho iniziato da bambina: raccoglievo scatoline portapillole che schedavo su un quaderno. Il viaggio a Londra che feci nel 1992 è stato senz’altro un’esperienza fondamentale per la mia attività di collezionista».
Patrizia Sandretto Re Rebaudengo ha invitato AIBIJOUX a curiosare nella sua collezione di gioielli fantasia e racconta così la sua passione: collezionare arte contemporanea in primis ma anche fotografia e bijoux d’autore. Quest’ultima raccolta è stata esposta in importanti istituzioni in Italia e all’estero e riconosciuta come una delle collezioni più importanti in Europa. Patrizia Sandretto infatti, non passa mai inosservata a una mostra o a un concerto, le sue collane o orecchini definiscono bene la figura e il carattere.
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Proviamo a fare un un po’ d’ordine: bijoux, gioiello non prezioso, Costume Jewelry. Cosa li distingue?
Sebbene la parola «bijou» in francese significhi gioiello, in italiano il termine viene generalmente usato per indicare i gioielli non preziosi, chiamati anche gioielli fantasia o bigiotteria. Si tratta dell’oggetto che fa moda, ma che non è realizzato con materiali di grande valore e, in generale, è di grande produzione. Negli Stati Uniti il gioiello non prezioso, o Costume Jewelry, diviene un prodotto industriale a partire dagli anni ’30 del secolo scorso, quando anche il cinema inizia ad adottare i gioielli fantasia, anziché noleggiare gioielli veri.
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Tra arte contemporanea e gioielli non preziosi, pensi ci sia una relazione?
Le opere d’arte contemporanea e i Costume Jewelry raccontano con precisione il momento in cui sono stati creati. Pensiamo alla nascita dei gioielli fantasia a partire dagli anni Venti del Novecento e al modo in cui gli American Costume Jewelry testimoniano la storia degli Stati Uniti nel secolo scorso. I designer, come gli artisti, ci offrono uno sguardo inedito sul mondo, sulla storia e sulla società in cui vivono. Ho delle spille alle quali sono particolarmente affezionata perché sono emblema di un momento sociale e storico particolare, anche se non hanno un valore monetario elevato. Tra queste, la spilla creata per l’inaugurazione del Golden Gate di San Francisco, quella che si appuntavano sulla giacca i maître del famoso circolo “Stork Club” di New York negli anni ’50, o ancora quelle realizzate dopo ‘attacco a Pearl Harbour. Inoltre ogni designer ha un suo stile particolare e riconoscibile, come con la “mano” dell’artista.
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Con la globalizzazione, il contesto dell'arte contemporanea è cambiato molto, vale lo stesso per quello che vedi nel mondo del collezionismo del bijoux?
La globalizzazione e la diffusione del web hanno cambiato profondamente le nostre vite, in tutti gli ambiti. Io colleziono esclusivamente American Costume Jewelry, una tipologia di gioielli fantasia meno presente in Italia, e quando ho iniziato a collezionare trovavo molti pezzi nei flea markets. Adesso li acquisto dai buyer statunitensi e qualche volta anche via internet. Esistono anche aste specializzate in Costume Jewelry e il numero dei collezionisti è notevolmente aumentato, soprattutto negli Stati Uniti.
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Più volte hai sottolineato di non aver mai pensato al collezionismo come una forma di possesso: «le opere sono di chiunque le voglia vedere», vale la stessa cosa per i tuoi gioielli?
Dico sempre che collezionare fa parte del mio DNA perché è un’attitudine che avevo già da bambina, quando raccoglievo scatoline portapillole, tutte catalogate con gran rigore e numerate pazientemente su un piccolo quaderno. Credo che il mio approccio non sia cambiato: desidero condividere le mie collezioni affinché tanti possano conoscerle, non tenerle chiuse in un caveau. Questo vale per le opere contemporanee, che ho sempre prestato a musei e istituzioni in tutto il mondo e che oggi sono date in comodato alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, e anche per i miei gioielli fantasia: da quando ho iniziato a collezionarli, negli anni ’80, ho cercato occasioni per presentarli al pubblico, come già avvenuto con alcune mostre dedicate alla mia collezione (a Torino, Venezia, Berlino e Asti) e con la pubblicazione di due cataloghi.
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Ci racconti il primo pezzo che hai acquistato, e l'ultimo?
La mia prima spilla, una Trifari, è stata appuntata al rever della mia giacca da una cara amica, che già collezionava gioielli fantasia: rimasi folgorata dal suo fascino vintage e dall’incanto delle forme. Gli American Costume Jewelry mi sono piaciuti subito e la mia passione è cresciuta studiandone la storia.
L’ultimo gioiello è una collana degli anni Sessanta di Kenneth Jay Lane: un dono da parte dei miei collaboratori della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per il mio compleanno. La indosso con gioia pensando a loro.
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Come scegli quale indossare? È solo legato all'abito o anche al contesto e all'umore?
Non esco mai senza uno dei gioielli della mia collezione e nelle occasioni importanti solitamente prima scelgo la spilla o la collana: l’abito viene di conseguenza. Mi diverte indossare gioielli che abbiano attinenza con la giornata che mi attende, a seconda della stagione. D’estate prediligo i pesci disegnati da Alfred Philippe, il cavalluccio marino di Iradj Moini e il meraviglioso polipo in smalto rosa di Marcel Boucher. In primavera le farfalle di Trifari e i fiori di Eisenberg. In autunno e in inverno le composizioni di Hobé, De Rosa e Miriam Haskell.
A dicembre indosso le spille a forma di albero di Natale. Negli anni ’50 venivano usate come piccolo dono da inviare ai soldati americani impegnati nella guerra in Corea.Se viaggio, mi piace onorare il paese che visito con un gioiello a tema. Per la Gran Bretagna scelgo spesso le spille a forma di corona regale, per gli Stati Uniti le bandiere a stelle e strisce, per il Messico le palme smaltate degli anni ’40 e i messicani col sombrero.
Mi piace aggiornare la collezione, ampliarla, svilupparla, creare delle collezioni dentro la collezione, magari con temi come le maschere meravigliose degli anni ’30 e ’40, del tutto simili agli esemplari della vera gioielleria di Cartier, le palme, i fiori. -
Tra i tuoi preziosi ci sono nomi importanti: Trifari, Marcel Boucher, Coro, De Rosa, Eisenberg, Miriam Haskell, Eugène Joseff, Kenneth J. Lane, Pennino, fino a Wendy Gell e Iradj Moini. Ci racconti un po' della tua collezione?
La mia collezione si è sviluppata a partire dagli anni Ottanta. Ho diversi pezzi rari, ma ne ho anche numerosi di produzione più ampia: caratteristica dei Costume Jewelry è infatti la loro produzione su vasta scala, che li rendeva accessibili e quindi in qualche modo “democratici”. Gli American Costume Jewelry sono un patrimonio culturale che ci riporta a tempi difficili, gli anni della Grande Depressione, quando la crisi economica impediva l’acquisto di gioielli veri ma anche la loro produzione. La scarsità di materiali preziosi non impedì ai creativi di sperimentare ugualmente linee e forme eccezionali con quello che avevano a disposizione. L’offerta di gioielli falsi crebbe quindi parallelamente al crollo delle vendite dell’alta gioielleria. Con l’inizio del secondo conflitto mondiale e il decreto del Presidente degli Stati Uniti che limitava l’uso delle materie prime necessarie agli scopi bellici, i gioielli fantasia vennero realizzati soprattutto con materiali alternativi e facilmente reperibili quali rafia, legno, resine, argento. L’uso di materiali innovativi, come la gomma vulcanizzata, la celluloide, la bachelite, il plexiglas e l’acrilico, capaci di anticipare, quasi un secolo fa, le tendenze attuali, è una delle caratteristiche che più apprezzo nella Costume Jewelry. Anche in quegli anni difficili, le donne non rinunciavano alla bellezza e alla speranza, così come al sogno di una vita migliore: la creatività, la progettualità e l’estro dei designer rendevano questi Gioielli Fantasia dei “pezzi unici” in edizione illimitata, con un costo che permetteva a tutti di possederne uno. E soprattutto, che permetteva finalmente alle donne di comprare da sole i propri gioielli, scegliendoli magari tra quelli indossati dalle dive.
Scelgo i pezzi per la mia collezione in base all’emozione che mi trasmettono. Ho delle spille alle quali sono particolarmente affezionata perché sono emblema di un momento sociale e storico particolare, anche se non hanno un valore monetario elevato. Tra questi, il Black Amour, la spilla di Trifari che riproduce un personaggio di colore che innalza una bandiera. Non se ne è mai visto un’altra uguale e quindi è probabile che sia un prototipo. Ma più che un inedito, per me il Black Amour è il simbolo della libertà.
In questo momento apprezzo in modo particolare i gioielli De Lillo, in particolare le grandi collane: la produzione di quest’azienda, nata nel 1967 e chiusa a metà degli anni ’70, si caratterizzava per il bagno nell’oro 18 kt e per la versatilità dei gioielli, che spesso sono in grado di trasformarsi ottenendo ad esempio una cintura da una collana.
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Acquisti bijoux americani realizzati tra gli anni '30 e gli anni '70. Stai guardando anche altri paesi o solo gli Stati Uniti?
Ogni collezione deve avere una sua specificità e la mia è fondata su pezzi americani prodotti a partire dagli anni ’30. I bijoux de couture, per esempio, sono un’altra storia. Magari la prossima collezione…
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Il bijoux trova la sua storia nel periodo della grande Depressione (1929-1939) negli Stati Uniti, c'è qualcosa di simile in questi anni?
I gioielli non preziosi sono nati per essere democratici: rappresentavano un lusso raggiungibile, economicamente abbordabile, un universo meraviglioso e low cost. Poveri ma belli, erano sogni realizzabili. Anche oggi molti stilisti realizzano bijoux molto sfarzosi, colorati e di grandi dimensioni. Segno che la creatività e l’inventiva crescono soprattutto quando gli indici di borsa sono in ribasso.
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Cosa consiglieresti a chi deve acquistare il primo pezzo?
Consiglierei di lasciarsi guidare dall’emozione, ma anche di studiare la storia di questi gioielli. Ricordo che all’inizio degli anni ’90 desideravo ampliare la collezione coi cosiddetti Jelly Belly (letteralmente pancia di gelatina), in Italia introvabili. Sono spille a forma di animale realizzate con la lucite, una plastica che offre una trasparenza quasi vitrea all’oggetto e che si dice venisse recuperata dalle carlinghe degli aerei della Seconda Guerra Mondiale. Ero al mercato di Coconut Grove, l’Antique Market di Miami. Uno dei venditori aveva alcune spille Jelly Belly in esposizione e mi disse che ne aveva altre a Sarasota, dove abitava. Dopo qualche minuto ero già in automobile in direzione del nord della Florida. Quel giorno ne ho comprate otto. Poi, col passare del tempo, ho realizzato che l’offerta dei Jelly Belly era più ampia di quanto immaginassi, tanto da poterli comprare a peso.
L’esperienza insegna, ti documenti, consulti i volumi sull’argomento. Agli inizi bisogna mettere in conto anche le fregature. Osservate sempre il retro del gioiello, quasi più importante del fronte: i vintage Costume Jewelry erano montati come gioielli veri e il metallo deve mostrare i segni del tempo: se è troppo brillante, è nuovo. Controllate lo stato di conservazione del gioiello, accertatevi che le pietre non siano state sostituite e prestate attenzione al punzone: la firma consente di datare il gioiello e deve essere conforme a quella del periodo in questione.
Lisa Parola è laureata in storia dell’arte moderna all’Università di Torino. È co-autrice di pubblicazioni in tema di politiche culturali, sistema dell’arte e territorio.
Nel 2013 è stata nominata mediatrice culturale per la candidatura di Matera a Città Capitale Europea della Cultura. Dal 2007 al 2014 ha insegnato al Master in Management, Marketing e Multimedialità per i Beni e le Attività Culturali del Corep di Torino. Fino al 2010 è stata collaboratrice de La Stampa in qualità di giornalista di arte contemporanea. È socia fondatrice di a.titolo.
Dal 2016 al 2019 è stata curatrice del programma culturale per Fondazione Sardi per l’Arte di Torino e ha collaborato con artisti come Fatma Bucak, Giuseppe Gabellone, Jorge Macchi, istituzioni e spazi no profit quali l’Università degli Studi di Torino e il progetto Quartz.
Ad Artissima 2018 è stata coordinatrice di Carol Rama_100 anni di seduzione: un progetto speciale sull’opera dell’artista con opere provenienti dalla collezione di Edoardo Sanguineti acquisite dalla Fondazioni Sardi.
Attualmente collabora con la Fondazione Merz e l’Università degli Studi di Torino a un progetto curatoriale che coinvolge artisti internazionali e studenti di differenti facoltà.
Tutte le foto dell’articolo: Luigi De Palma x ABOUT Inspiration