Paola Stroppiana
Storie

I gioielli d’artista nelle mostre di Paola Stroppiana

Paola Stroppiana è storica dell’arte, curatrice indipendente e giornalista. Si è laureata in Storia dell’Arte Medievale presso l’Università di Torino. Parallelamente alla lunga esperienza di direttrice artistica in una galleria d’arte contemporanea, ha sempre coltivato il suo interesse per il gioiello d’artista, ambito per il quale ha curato importanti mostre e pubblicazioni.

 

Gioielli Vertiginosi: la mostra del 2016 curata da Paola Stroppiana e dedicata ad Ada Minola e alla sua collezione di gioielli

  • Cosa l’ha portata ad occuparsi del gioiello d’artista? Da dove è nata questa passione?

    Lo studio dell’oreficeria è entrato nella mia vita in tempi “non sospetti”, quando scelsi l’argomento per la mia tesi di laurea in Storia dell’Arte presso la facoltà di Lettere Moderne dell’Università di Torino. La mia ricerca verteva su Jean de Malines, orafo fiammingo documentato nella prima metà del XV secolo in area alpina e in particolare ad Aosta, dove portò a compimento la Cassa Reliquiario di San Grato, santo patrono della città, per ordine del Capitolo della Cattedrale.
    La Cassa, notevole esempio di reliquiario in lamina di argento e argento dorato dalla fittissima decorazione, decorato da numerose statue di santi lungo i lati, è ancora oggi esposta in Cattedrale. A partire da questo straordinario esemplare ho cercato di ricostruire un catalogo delle opere a lui riferibili per gusto, tecnica, influenza ancora presenti sul territorio, disperse tra chiese e musei. Un approccio scientifico, basato non solo sui documenti disponibili (incluso una straordinaria descrizione del progetto della cassa) ma certamente anche su canoni tecnici ed estetici.

    Dopo molti anni durante i quali mi sono occupata di arte a vario titolo (in particolare contemporanea) l’argomento del gioiello è ricomparso nella mia vita in modo casuale. Ma chi può dire cosa sia il caso? Un mio caro amico mi ha chiesto di aiutarlo nella catalogazione dei gioielli di Ada Minola, sua nonna. Pensavo ad una collezione eterogenea di gioielli costruita nel tempo, ignoravo che questa signora straordinaria, gallerista e musa di artisti tra la fine degli anni ’40 e gli anni ’70 avesse realizzato personalmente un corpus importante di gioielli in casa, con il crogiolo! Una storia affascinante che grazie all’aiuto della famiglia ho potuto ricostruire e che è stata al centro della mostra a lei dedicata a Palazzo Madama nel 2016. Nello studio della produzione di Ada e del contesto storico in cui ha vissuto mi è certamente servito l’approccio che avevo utilizzato per la mia tesi, a partire dalla catalogazione e classificazione stilistica delle opere. Grazie anche allo studio di diversi volumi (soprattutto stranieri e molti di questi di non facile reperibilità) che trattano l’argomento del gioiello d’artista mi sono appassionata all’argomento comprendendone meglio alcuni fondamentali contributi (moltissimi artisti di fama internazionale si sono cimentati con il gioiello!), individuando ambiti geografici e momenti storici significativi.

  • A proposito della mostra ospitata a Palazzo Madama nel 2016, chi era Ada Minola e cosa ha apportato nell’ambito del gioiello?

    Ada Malnati Minola è stata una protagonista della borghesia intellettuale torinese che nel secondo dopoguerra si stava aprendo a novità culturali di respiro internazionale. Lombarda di nascita, padre e zio orafi, sposa giovanissima l’industriale torinese Cesare Minola. Esuberante e creativa, già pittrice e appassionata di arte, vive un periodo straordinario di incontri che segnano profondamente la sua ricerca artistica: frequenta Carlo Mollino a cui affida il progetto d’interno della sua casa, Lucio Fontana, Giò Pomodoro, Umberto Mastroianni e, alla fine degli anni Cinquanta, grazie a Franco Assetto e Luigi Moretti, conosce anche il grande critico d’arte francese Michel Tapié, con il quale instaura una solida amicizia. Questa collaborazione la porterà a divenire Direttrice e animatrice culturale dell’International Center of Aesthetic Research, l’ICAR, fondato a Torino nel 1960.

  • All’epoca le donne riconosciute nell’ambito dell’arte non erano molte. E di certo nessuna ricopriva incarichi di dirigente nell’ambito culturale.

    Proprio così. Ada era una figura di donna davvero all’avanguardia, ma anche scultrice e orafa di indubbio talento, che andava doverosamente ricollocata nel panorama critico dell’arte italiana del suo tempo. Una storia tutta al femminile da riscoprire e narrare come parte di un nostro recente passato culturale.

  • Con quali artisti ha dialogato Ada Minola?

    La lista è lunga. Era una donna che sapeva guardare, osservare, approfondire. In mostra ho presentato 120 gioielli che delineano i principali caratteri della sua produzione orafa focalizzandomi in particolare sulle diverse aree di influenza stilistica: dall’Art Nouveau al gioiello d’artista, dai confronti con le sculture di Giò Pomodoro e Lucio Fontana al periodo neo-barocco, dai dialoghi con le opere di Umberto Mastroianni alle influenze dell’universo estetico del geniale architetto Carlo Mollino.

  • La relazione tra l’arte e il gioiello è un lungo percorso, lei in particolare quale periodo ha indagato?

    Il secondo dopoguerra, e in particolare in Italia. Anni difficili nei quali molti artisti decidono di passare dall’oggetto di grande artigianato al gioiello, espressione di un disegno progettuale, firmato da figure che provengono dall’ambito della pittura o della scultura e che realizzano un pezzo unico, al pari di un’opera d’arte.

    In particolare vorrei ricordare la mostra di gioielli d’artista realizzati nel 1949 su iniziativa del gioielliere romano Mario Masenza, raffinato conoscitore d’arte, deciso a risollevare un mercato in sofferenza: a lui si deve questa straordinaria intuizione. Un’esposizione che comprendeva nomi notissimi dell’epoca e non certo per l’oreficeria, da Guttuso a Leoncillo, da Afro a Cannilla e che verrà poi ospitata alla galleria Il Milione di Milano e alla galleria La Bussola di Torino nel 1949, quindi in contesti deputati all’arte, non gioiellerie.

    Fu un evento che contribuì a determinare una vera e propria rivoluzione di gusto persino nella moda di quegli anni, come riportato da diverse riviste dell’epoca: la scelta non convenzionale dell’ornamento prezioso, ora gioiello d’artista, costituiva un nuovo orientamento di stile per le signore eleganti e aggiornate. Ecco, quello che mi interessa è proprio la trasformazione del gusto di questi anni e che è in grado di attraversare ambiti e contesti, modificandoli in modo radicale.

    Un altro momento nodale in Italia è stato sul finire degli anni ’60 a Milano, quando ha inizio la paradigmatica avventura di Gian Carlo Montebello e Teresa Pomodoro (sorella degli scultori Giò e Arnaldo), che insieme fondano la GEM Montebello. Tra il 1967 e il 1978, ancora in parallelo con l’esclusività del “pezzo unico” di Masenza, Montebello collabora con oltre 50 artisti internazionali editando circa 200 gioielli in multipli in edizione limitata. Molti i nomi coinvolti, a partire dai cognati Arnaldo e Giò Pomodoro, Fausta Squatriti, Piero Dorazio, Lucio Fontana, Joe Tilson, Lowell Nesbitt, Niki de Saint Phalle, Pol Bury, Jesús Rafael Soto, Pietro Consagra, Claude Lalanne, Man Ray.

    Nel 1967 la grande Palma Bucarelli decide di dedicare una vetrina ai gioielli d’artista nel percorso museale della Galleria Nazionale di Roma. Rimarrà purtroppo un caso isolato e destinato ad esaurirsi con la fine della sua direzione, ma è la prima volta che in Italia si pensa ad una musealizzazione del gioiello.

  • Nel 2018 ha curato anche una mostra sulla produzione orafa di Giò Pomodoro al Museo del Gioiello di Vicenza: perché ha scelto proprio la produzione di questo artista?

    Nel caso di Pomodoro ero incuriosita dalla sua grande capacità di progettazione, il segno, intellettualmente espresso in disegni di rara bellezza, e l’ornamento, frutto di un ricco archivio di riferimenti alla cultura classica e alla dimensione rituale-metafisica. Pomodoro ha saputo, più di altri, mantenere uno stretto legame con la sua produzione scultorea senza ridurre le opere a semplici miniaturizzazioni, piuttosto immaginandole come sculture da indossare.

  • Ed eccoci al 2019 quando a Urbino ha deciso di riunire in un’unica mostra numerosi artisti. Una storia mai raccontata prima che evidenzia l’esperienza eclettica di molti artisti.

    Con la mostra Scultura aurea ho voluto riproporre la grande cultura orafa a partire da una riflessione sul luogo in cui mi trovavo, lo splendido Palazzo Ducale di Urbino, orgoglio rinascimentale delle Marche, una regione riconosciuta come distretto di livello internazionale per competenze e diffusione di scuole e modelli. In particolare nel XX secolo la cultura orafa marchigiana gode di un rinnovato prestigio grazie a figure come Edgardo Mannuci, Giuseppe Uncini, Valeriano Trubbiani, Eliseo Mattiacci, Giorgio Facchini, Alberto Giorgi, che alla grande competenza in ambito scultoreo e orafo hanno spesso unito la vocazione all’insegnamento, formando nuove generazioni di artisti.
    Nodale il ruolo dei fratelli Arnaldo Pomodoro e Giò Pomodoro, la cui fama internazionale nell’ambito delle arti ha portato alto il nome delle Marche nel mondo.

    Da qui è stato naturale ampliare la visuale e raccontare le esperienze degli artisti a partire dai grandi committenti ed editori, Masenza, Fumanti e Montebello, attraverso pezzi straordinari provenienti in massima parte da prestigiose collezioni private e da archivi familiari, che bene raccontano l’evoluzione del gioiello d’artista nel nostro Paese. 

  • Ma non basta, per l’appuntamento di Urbino ha rivolto la sua ricerca anche su altri artisti, mettendo insieme storie e generazioni distanti.

    Sarebbe stato impossibile dimenticare nomi di artisti di prima grandezza che già dagli anni Trenta e Quaranta del Novecento si erano misurati, per ragioni diverse, con tale ambito: Alexander Calder, Salvador Dalí, George Braque, Pablo Picasso, Man Ray, Max Ernst, Louise Nevelson, Alicia Penalba.

    Oggi numerosi artisti contemporanei realizzano gioielli: Igor Mitoraj, Sophia Vari, Enrico Castellani, Giulio Paolini, Anish Kapoor, Giorgio Vigna.
    Tutti hanno come peculiarità la capacità di trasferire nel gioiello la poetica della loro ricerca, sostenuti in questo cammino da nuove generazioni di galleristi-mecenati e da una rinnovata sensibilità all’argomento, come si può notare dalla crescente presenza di esemplari in aste internazionali e dalle mostre in importanti istituzioni.

  • Lei indossa gioielli?

    Indosso gioielli, spesso di grandi dimensioni, dalla forte personalità, che doso però nella quantità (un solo grande bracciale o al massimo uno per polso in alternativa ad una collana importante): confesso che ho provato quasi tutti i gioielli degli artisti delle diverse mostre da me curate, ed è stata per tutti una grande emozione, poiché si percepisce il valore e la forza di opera d’arte in sé compiuta, che non ha nulla da invidiare a pittura e scultura: con il gioiello entra in gioco una nuova dimensione, fisica e psicologica, il corpo e la personalità di chi lo indossa, e finanche di chi lo osserva. Un linguaggio dal grandissimo potere, che somma alla millenaria forza del gioiello tutto il carisma della creatività dell’artista.


Foto in evidenza: Giorgio Perottino


Lisa Parola è laureata in storia dell’arte moderna all’Università di Torino. È co-autrice di pubblicazioni in tema di politiche culturali, sistema dell’arte e territorio.
Nel 2013 è stata nominata mediatrice culturale per la candidatura di Matera a Città Capitale Europea della Cultura. Dal 2007 al 2014 ha insegnato al Master in Management, Marketing e Multimedialità per i Beni e le Attività Culturali del Corep di Torino. Fino al 2010 è stata collaboratrice de 
La Stampa in qualità di giornalista di arte contemporanea. È socia fondatrice di a.titolo.
Dal 2016 al 2019 è stata curatrice del programma culturale per Fondazione Sardi per l’Arte di Torino e ha collaborato con artisti come Fatma Bucak, Giuseppe Gabellone, Jorge Macchi, istituzioni e spazi no profit quali l’Università degli Studi di Torino e il progetto Quartz.
Ad Artissima 2018 è stata coordinatrice di 
Carol Rama_100 anni di seduzione: un progetto speciale sull’opera dell’artista con opere provenienti dalla collezione di Edoardo Sanguineti acquisite dalla Fondazioni Sardi.
Attualmente collabora con la Fondazione Merz e l’Università degli Studi di Torino a un progetto curatoriale che coinvolge artisti internazionali e studenti di differenti facoltà.